LE PIETRE DI CERVAROLO

Le pietre potrebbero raccontare tante storie. Se solo potessero parlare. Allora ci tocca guardarle, capire cosa potrebbero avere visto, sfiorarle con le mani. Sono liscie o ruvide? Hanno segni particolari?. Erano parte di una casa che non c’è più? Forse erano tutte squadrate ed unite insieme a forma di arco?. Succede che il tempo trasforma tutto e le fa rivivere sotto nuove forme. Il tempo non è sufficiente. Ci vuole la passione e l’amore di qualcuno.

Siamo in un giorno di qualche secolo fa. Una valle incontaminata su un altura a pochi chilometri dal mare. Ettari di ulivi e vegetazione rigogliosa. Un luogo dove vivono pochi contadini nelle loro case di pietra. I cervi a centinaia popolano la contrada. Da qui il nome Contrada Cervarolo. Poco distante la città Bianca di Ostuni con una storia fatta di conquiste, briganti, assedi, battaglie senza fine per poi arrivare alla tranquillità solo un secolo fa.

I contadini, che vivono ognuno sul proprio pezzo di terra, avvertono la necessità di dare vita, nella contrada,  ad un piccolo borgo con chiesa, forno comune ed altre piccole costruzioni  in modo che le famiglie del posto possano consolidare il senso di comunità ed aiutarsi e sostenersi.

Uno dei campagnoli più attivi è un vigoroso contadino dai capelli neri e dal mento segnato da una fossetta particolare. Le donne della campagna impazziscono per la fossetta di  Febo, così si chiama, ma lui non ha occhi che per Brunilde, la bellissima figlia di Don Vito, il ciabattino della contrada. Tant’è che se la sposa.

Il borgo cresce e si sviluppa grazie alla passione di Febo, Brunilde e dei due figli maschi. Sono un riferimento per viandanti, soldati dispersi, briganti, amici e tutti quelli che chiedono qualche giorno di asilo e un buon pasto caldo. Ormai siamo a pochi anni dal 1800.

Anni funesti si abbattono però sulla contrada e il borgo viene abbandonato da tutti. L’ultimo ad andare via è Febo. Mette la famiglia sul suo carro. Guarda il borgo con le lacrime agli occhi. Stringe la mano di Brunilde. “Ti giuro che torneremo, fosse pure tra duecento anni”.

E passano duecento anni. Le pietre sono sempre lì.  Le persone non ci sono più. La passione e l’amore per quelle pietre invece viaggiano per anni e anni e finalmente trovano casa in Teo e Patrizia. Guardano quelle pietre, il borgo un po’ diroccato ma bellissimo. L’amore gli permette di guardare quelle rovine e di capire come il lavoro e la passione potrà dargli una nuova vita.

Teo, guidato dalla passione di Febo, rimette in piedi il borgo, la masseria, la chiesa. E’ circondato dall’aiuto della famiglia, da Patrizia, Gaetano, Antonella. La passione di Brunilde ora è diventata una forza che alberga nelle donne del gruppo. E la forza di Don Vito ha preso casa in Gaetano, il nuovo “vecchio saggio”.

Sono passati più di duecento anni e una nuova comunità si è insediata in quel borgo targato 1789.

Oggi i viandanti che trovano un letto e un pasto caldo vengono da tutto il mondo. Teo e Patrizia li aspettano tra quelle pietre che hanno ripreso splendore. Tra quelle pietre ci sono anche i letti pronti a dare conforto a giornate passate in giro a fare passeggiate tra gli ulivi. Sono sempre le stesse pietre che avvolgono i carboni ardenti che aiutano a cuocere focaccia, verdure e fantastici piatti che raccontano la storia del posto.

La mattina presto Teo, quando non lo vede nessuno, gira per il borgo accompagnato da Leonida. Leonida è uno splendido cane con lo stesso colore delle pietre di Cervarolo. Teo si ferma quasi su ogni pietra che fa parte del muro, della chiesa, dei trulli. Le conosce tutte. Di ognuna ricorda quando è stata messa, che problemi aveva. Passa la mano sopra. La pietra riconosce la mano di Teo che è uguale a quella di Febo. Ora le pietre hanno capito di essere nuovamente amate.

Pubblicato da markmccandy

da compilare

2 pensieri riguardo “LE PIETRE DI CERVAROLO

  1. Le pietre sono meravigliose e raccontano i luoghi come nessun altro elemento. Il loro colore e la loro lavorazione ono una sintesi perfetta degli elementi naturali e della cultura che ha respirato quel luogo. Sono custodi sicuri e narratori silenziosi che restano lì a guidarci. Tante volte girando per centri storici mi sono sentito Teo.

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