Il traffico di Roma nelle ore di punta dà il meglio di sé. Viale del Muro Torto, tra il Pincio e Villa Borghese, è un’unica colonna di auto che si muove lentamente al ritmo dei semafori e de li mejo mortacci loro.
Alex De Carolis è in auto verso l’albergo. E’ atterrato a Fiumicino dove era atteso dall’autista dell’organizzazione del premio letterario che lo vede tra gli scrittori finalisti. Mancava da Roma da tanto tempo. Appoggia la testa al finestrino e guarda scorrere luoghi una volta familiari come diapositive sfocate.
“Dottore vuole ascoltare un pò di musica?” l’autista gentile cerca lo sguardo di Alex nello specchietto retrovisore per una conferma.
“Sì grazie” e si mette a guardare fuori. Vede un bar che conosce, in piazza del Popolo, e pensa a quante volte era stato seduto a quei tavolini con Laura. Gli sembra di vederla seduta lì con i capelli neri lunghi annodati in una treccia con la testa appoggiata alla sua spalla a ridere di niente o dei conti da pagare al fornaio che le faceva credito. Non si annoiava mai ed era innamorata.
Mentre affiora il dolore del rimpianto malinconico di quel trascorso l’autista alza il volume della canzone che inizia ad entrare in circolo come un analgesico. Il pianista di Barry Manilow segue il ritmo cardiaco di Alex che al refrain “oh Mandy and you kissed me and stopped me from shaking…..” chiude gli occhi per un attimo. Viene riportato subito nel mondo reale dalla vibrazione di qualcosa nella tasca interna della giacca.
Lo schermo si illumina. E’ il suo agente letterario.
“Alex, allora? Sei carico? Essere tra i cinque finalisti è un risultato fantastico. Le macchine sono pronte a stampare decine di migliaia di nuove copie del tuo libro. Io arrivo domattina. Tu che fai stasera?”
“Si ciao, penso di mangiare qualcosa in albergo. Magari dopo cena faccio due passi.”
“Oh dalla voce mi sembra che stai andando ad un funerale, diamine sei nella top five!!”
“Si scusa, ero sopra pensiero, non tornavo a Roma da anni e mi sono distratto a guardare fuori dal finestrino. Dai chiamami domani quando arrivi in albergo”
“Ok. E non andare a mignotte stasera che mi fai scoppiare uno scandalo prima della premiazione!! Ahahahah.. Ti ci porto io dopo la cerimonia!”. E giù risate grasse.
Osvaldo Taddei, l’agente letterario di Alex, era uno squalo dell’editoria e conosceva una quantità esagerata di entraineuse, accuratamente catalogate nella sua mitica rubrica rossa rigorosamente cartacea. Non sopportava le sincronizzazioni del telefono con il pc.
Si muoveva come pochi e conosceva mezzo mondo. Era lui che aveva portato Alex nei piani alti dopo aver intuito il suo talento prorompente. Dopo i primi libri aveva sfondato definitivamente con l’ultima opera. Osvaldo godeva a farlo intervistare, a farlo andare in giro e ogni volta che leggeva le classifiche delle vendite gli si illuminavano gli occhi. Alex era diventato uno degli autori top della sua agenzia.
L’auto si ferma davanti all’albergo e Alex scende. L’autista gli porge il trolley “A presto dottor De Carolis e in bocca al lupo per domani”.
“Crepi.” Alex accenna un sorriso e si avvia verso l’ingresso tirando il trolley con una mano. Nell’altra ha l’agenda piena di appunti e sull’avambraccio pende il suo impermeabile beige. I capelli di Alex sono tanti e disordinati. Sembra di vedere Tony Musante in Anonimo Veneziano.
Nella hall c’è molta gente. Il premio letterario è l’evento clou della settimana a Roma. Ci sono giornalisti, esponenti di case editrici, autori e qualche volto noto della tv che presenta il suo immancabile libro.
Alex si presta con il sorriso a qualche selfie con eleganti signore, sue accanite lettrici. Finalmente, tra un saluto ed un “ti stimo molto”, riesce a farsi dare la tessera magnetica per salire in camera.
“Un attimo dottor De Carolis” lo ferma la receptionist “c’è qualcosa per Lei”.
La ragazza in divisa si gira e prende una busta dalla cassetta 402. “Ecco.”
“Non sa chi l’ha lasciata?” chiede Alex.
“Non saprei, l’ho trovata qui. Io ho iniziato il mio turno da poco e la mia collega è già andata via. Mi spiace non posso aiutarla.”
“Non si preoccupi, era solo curiosità. Grazie lo stesso” mette la busta in tasca e va verso l’ascensore.
La camera è al fourth floor come dice la voce automatica nella cabina che silenziosa si dirige verso l’alto. La tessera scorre nella fessura magnetica e la porta si apre facendo vedere ad Alex il monitor illuminato della tv con la scritta “Welcome Mr. Alex De Carolis”.
Ora la mano dello scrittore cerca la busta. La apre. Riconosce subito la scrittura. E’ di Laura. Quando erano all’università i suoi appunti erano sparsi per casa e ricorda perfettamente il suo stile, l’inclinazione delle vocali e quella “effe” che si agganciava sempre alle lettere del rigo superiore.
Continua a tenere in mano il foglio, sorride ora leggendo quello che c’è scritto.
“Quando ho letto che saresti venuto a Roma ho fatto di tutto per essere domani in platea. Laura.”
Si siede sul letto con il foglio in mano e pensa a quella telefonata in cui Laura gli disse che non potevano continuare a stare insieme. Che mazzata. Se ci pensa sente lo stesso dolore di trent’anni fa.
Sembrava andare tutto bene. Poi il primo impiego fuori Roma. Tanti chilometri. Tante telefonate. Tanti chilometri. Meno telefonate. Tanti chilometri. Poche telefonate. Una telefonata e poi basta. Per la lontananza diceva Laura all’inizio. Invece era uno che si chiamava Lanfranco Gutta e che le era sempre stato dietro. Forse più carino di Alex. Sicuramente tenace. Non aveva mai perso la speranza e quando Alex lasciò Roma si fece trovare pronto ad aprire lo sportello dell’auto.
Anche se gli anni hanno messo tonnellate di storie su questa ferita, non c’è verso di chiuderla completamente. Alex ora è qualcuno, uno scrittore famoso, tante relazioni, un matrimonio alle spalle, una nuova liaison in piedi da poco. Eppure leggere il biglietto ha accelerato i battiti cardiaci quel tanto che basta per farlo incazzare, per farlo sentire vulnerabile. Non lo sopporta.
Squilla il telefono. “Ciao De Carolis, ceni con noi stasera?” la voce inconfondibile di uno dei suoi antagonisti per il premio di domani.
“Ciao, molto volentieri. Vi raggiungo nella hall tra dieci minuti”. E pensa che non aveva nessuna voglia di stare a parlare di libri. Un male necessario per evitare di pensare che avrebbe incontrato Laura il giorno dopo.
“Ground Floor”. Escono prima i due giapponesi e poi Alex. Un paio di jeans e una camicia con le maniche arrotolate sono la sua divisa informale.
Passando vicino alla reception per raggiungere il gruppo viene chiamato dal ragazzo in divisa che gli porta una busta.
“Dott. De Carolis l’hanno lasciata poco fa. Stavo per portargliela su ma visto che è passato di qua, eccola.”
L’apre ma non sembra essere la scrittura di Laura.
“Se vuoi bene a Laura prendi un taxi e fatti portare alla fermata della metro a Piramide. Scendi dal taxi e non ti muovere. Mi faccio viva io. E non avvisare la Polizia. Se fai come ti dico non ci facciamo male e poi andiamo tutti a casa contenti.”
“Ma questa è una folle..” pensa Alex mentre raggiunge i colleghi per congedarsi adducendo la scusa di un impegno improvviso..che poi non è una scusa ma non lo deve dire.
“De Carolis ma dai..non ci crede nessuno. Sei qui a Roma, domani abbiamo la premiazione, dovevi venire a cena e ora te ne vai…hai trovato un troione!!! Ahahaha”
“Sì devo ammetterlo, mi è venuta una gran voglia di sesso stasera e non riesco a trattenermi..” sorride a fatica allargando le braccia per scusarsi. “Ci vediamo domani…poi vi racconto” conclude dandosi un atteggiamento da tombeur de femmes.
Raggiunge il taxi fuori dall’hotel. “Per favore mi porti alla fermata della Metro a Piramide” “Dottò venti minuti e semo lì”.
Alex ha una compagna, Vera, ed è il caso di farle una telefonata. Una telefonata per dire che sta andando a cena con alcuni finalisti e che la chiamerà con calma domattina per raccontarle come è andata. E così fa.
Dopo poco Alex vede spuntare in lontananza la punta della Piramide Cestia. Ci siamo quasi. “Dottò semo quasi arivati. Ecco. Va bene qui?”
“Si certo. Quanto le devo?”
“So’ venti euri. Je dispiace si nun je faccio la ricevuta? Mì fijo s’è scordato de compra’ er blocchetto.”
“No no va bene così. Eccoli, grazie”
“Bonasera”
Alex scende e si ferma. Guarda intorno. Vede la gente che va di fretta a prendere la metro. Autobus che arrivano e scaricano ragazzi e turisti. Cerca con lo sguardo qualcuno che sembri venirgli incontro. Passano più di dieci minuti poi ecco che si avvicina una ragazza sui venticinque trenta anni.
“De Carolis mi segua. Si metta al mio fianco e non faccia domande.”
“Come non faccio domande? Mi avete mandato un biglietto..” la ragazza lo interrompe.
“Te ripeto che nun me devi fa’ domande. Io nun so’ gnente. Te devo solo porta’ in un posto qua vicino.”
Arrivano ad un portone. La ragazza citofona. Una voce risponde “Siiii chi è?”
“Semo noi, vaffanculo” poi guarda Alex e quasi si scusa per la parolaccia. “E’ la nostra parola d’ordine” dice spingendo il portone pesante con le due mani.
“Stia qui fermo. Aspetta che te faccio un segnale co’ le mano”.
In fondo all’atrio si apre una porta e Alex intravede una donna che parla con la ragazza. La ragazza alza la mano verso Alex ed entra.
Nello stesso istante esce la donna con cui stava parlando. Lo scrittore non riesce a vedere il viso a causa della luce alle spalle della donna.
“Ciao De Carolis”.
Ora può vederla. E’ Laura. Si abbracciano per due interminabili minuti. Sembra che i trent’anni siano stati spazzati in colpo solo.
Alex completamente preso dall’abbraccio non si è accorto di due uomini armati che sono fermi ad alcuni metri.
Laura lo guarda negli occhi “Non ti preoccupare sono le mie guardie del corpo. Poi ti spiego. Vieni.”
Tenendosi per mano entrano dalla porta dove anche la sua accompagnatrice era entrata. Salgono una piccola rampa e si ritrovano in una stanza arredata e con una luce calda. Una tavola apparecchiata, un divano e in sottofondo la canzone degli Eagles “I can’t tell you why”.
Laura si volta verso le due guardie del corpo rassicurandoli che è tutto a posto.
“Signora noi stiamo qui fuori per qualsiasi cosa”
“Si grazie ragazzi”.
Ora Alex vuole sapere. “Laura, mi puoi raccontare cosa vuol dire tutto questo? I biglietti, le guardie del corpo, vorrei parlare di tante cose…”
“De Carolis mettiamoci sul divano così ti racconto. Beh ma non mi hai detto come mi trovi, se sono cambiata,..il solito distratto, lo scrittore, il pensatore..”
“Scusami ma sono ancora in confusione..”
“Allora De Carolis, ho le guardie del corpo perchè quando mio marito, Gutta, è morto ho preso le redini dell’organizzazione che aveva messo su lui. Ho ristoranti, alcune agenzie di scommesse, quattro scuderie di cavalli da corsa, una catena di supermercati, otto stazioni di rifornimento carburante e cinque negozi di abbigliamento sacro attorno al Vaticano. I ragazzi mi fanno stare tranquilla. Guadagno molto bene e me lo posso permettere. Ho voluto vederti stasera perchè ho saputo che domani ci sarà alla premiazione un giudice che mi ha preso di mira su alcune operazioni immobiliari e mi avrebbe dato fastidio trovarlo tra i piedi. Preferisco non farmi vedere in giro e questo è un posto sicuro.”
Alex ha ascoltato Laura senza perdere una parola, le espressioni del suo volto. Sembra più dura nei lineamenti, forse per la vita che conduce, ma quando lo chiama De Carolis sembra che non sia cambiato nulla. Lo aveva chiamato sempre così, per cognome.
“Sai che ho letto i tuoi libri? Anche quello con cui sei candidato domani. Mi è piaciuto molto.” si sfila la giacca scoprendo la fondina con una pistola. “La porto sempre con me. Non si sa mai. Ho imparato a sparare con mio marito. Sono brava.”
Ora sono sul divano. Alex ha connesso quasi tutti i puntini ed ha un quadro comprensibile della situazione.
“Mi abbracci? Mi tieni stretta e poi ceniamo?” Laura si stende di spalle su Alex che la avvolge con le braccia. Le guance si sfiorano e Laura inclina la testa scoprendo il collo.
Il messaggio è chiaro. Baciami sul collo….per iniziare.
“Ma Alex hai una compagna!” la coscienza gli urla nella testa.
“Ma è una situazione straordinaria, irripetibile, sono costretto dagli eventi” cerca di convincersi lo scrittore che va tutto bene e che deve andare così. Dopo quello che gli ha detto Laura non vuole tirarsi fuori dallo scorrere dei fatti.
E’ una scena che hanno già visto. Sul divanetto della discoteca “Rainbow” alcuni decenni prima. Erano in un gruppo di amici inseparabili e tra loro qualcosa era scattato ma c’era bisogno dell’incidente scatenante. Stavano ballando My Girl dei Madness ed alla fine si buttarano stremati sul divano. Laura inciampò e finì esattamente nella stessa posizione di adesso.
“Scusa De Carolis sono inciampata. Ti dispiace se resto un po’ appoggiata così? Sono stanchissima.”
“Si si nessun problema.” Aveva la gamba piegata ma decise di non muoverla per non rompere l’equilibrio perfetto che si era creato a costo di perdere l’uso dell’arto inferiore.
Gli amici che ballavano li videro baciarsi tra i fasci delle luci stroboscopiche. Tutta la discoteca si muoveva e loro no. Chiusi in una bolla senza suoni ma solo respiri.
Ecco, ora sono proprio come allora fermi sul divano. Laura racconta di quello che è avvenuto in questi anni e così Alex. Si vede da lontano un miglio che parlano del passato per arrivare in fretta al presente e riprendersi quello che il tempo e la lontananza gli avevano portato via.